La paura che possa ricapitarmi un’altra volta è
orribile”….”emozioni negative così forti non mi
erano mai capitate ed ora vivo nell’angoscia che
possa rivenirmi un altro attacco di panico”!
“Non riesco più ad uscirne e non mi riconosco più, prima non ero così e riuscivo a fare tutto…cosa mi sta succedendo? ho paura di impazzire in alcuni momenti, ho il fiato corto e temo che possa soffocare…...e
quando quei momenti passano resta invece un senso
di profonda frustrazione e di malessere ”.
I pazienti
che giungono in terapia con una diagnosi di attacchi
di panico oggi, sono in numero sempre più
crescente. La persona che prova emozioni di
paura molto intense è spaventata
dall’ imprevedibilità
dell’evento panico che sembra manifestarsi a
“ciel sereno” e che di conseguenza potrà ripresentarsi in qualsiasi altro momento.
Ciò produce generalmente
due risposte disfunzionali: l’ansia anticipatoria
(l’idea che si verificherà di nuovo) , l’evitamento
(evitare determinate situazioni o ambienti per non
avere un altro attacco di panico).
Inoltre, come spesso accade, la persona che soffre
di attacchi di panico sviluppa con il tempo delle
modalità e delle strategie per convivere con esso,
rendendo il disturbo cronico. Una condizione così
invalidante va opportunamente “attaccata” attraverso delle strategie terapeutiche.
Il paziente viene prima di tutto “psicoeducato”, incrementando le sue conoscenze sulla natura dell’attacco di panico;
il sintomo poi, attraverso il lavoro psicoterapico
assumerà un significato diverso andando ad inserirsi
nel contesto di vita del paziente.
Opportuni compiti o
prescrizioni andranno a completare il lavoro con la
persona, non dimenticando che questa non
rappresenta il sintomo, ma porta con sé una maniera
peculiare e personale di soffrire. Nella professione
clinica l’attacco di panico rappresenta quindi un
campanello d’allarme da cui si parte per giungere a
una lettura più ampia del paziente.